Il giardino che non c'è
Mostra Temporanea
Dani Karavan
“Scusi, sa dirci dov’è il giardino dei Finzi-Contini?”. È forse questa la domanda che più frequentemente un ferrarese si sente fare dai turisti a zonzo per la città. E dispiace sempre un po’ dover rispondere che quel luogo così affascinante ed enigmatico, che il romanzo di Giorgio Bassani, prima, e il film premio Oscar di Vittorio De Sica, poi, hanno fatto pulsare di voci, partite di tennis, passeggiate in bicicletta, alberi e fiori rari, amori impossibili e vite cui le leggi razziali avevano imposto una data di scadenza, in realtà non esiste.
E proprio da un incontro casuale con una comitiva di turisti è nata l’ispirazione dell’artista di fama mondiale Dani Karavan, che al giardino della finzione letteraria e cinematografica ha deciso di dare la consistenza di un’opera. Il suo progetto è al centro della mostra Il Giardino che non c’è, che il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah – MEIS inaugura in Via Piangipane 81, a Ferrara, il 31 ottobre.
“Sono venuto la prima volta a Ferrara nel 1956 per vedere gli affreschi di Francesco del Cossa e Cosmé Tura – racconta Karavan –. Mi sono innamorato di questa città e da allora ci sono tornato molte altre volte. Negli anni ’80 vi incontrai Paolo Ravenna e immediatamente scoppiò un’amicizia. Grazie a lui ho scoperto il volto ebraico di Ferrara e la storia di Giorgio Bassani. L’idea de Il Giardino che non c’è mi è venuta quando mi sono imbattuto in un gruppo di americani che cercava il giardino dei Finzi-Contini dietro un muro di Corso Ercole I d’Este, senza però trovare nulla. Quando chiesi a Paolo, mi disse che lì non era mai esistito e che era frutto dell’immaginazione dello scrittore”.
Perché, allora, non usare proprio quel muro in Corso Ercole I d’Este per crearvi l’entrata in un vuoto, nel giardino che non c’è? Una suggestione che si è via via precisata, scontornata, popolata di oggetti. Ecco, dunque, la ferrovia, con la duplice funzione di far accedere fisicamente il pubblico a quel luogo, ora non più solo mentale, e di ricordare il tragico destino delle tante famiglie ebraiche italiane che in treno andarono incontro alla morte, deportate dai nazisti ad Auschwitz e in altri campi di concentramento. Non mancherà nemmeno la bicicletta, “un riferimento a Bassani e ai suoi amici – continua Karavan –, che giravano per Ferrara in sella alle loro bici, proprio come il suo alter ego Giorgio e gli altri ragazzi e ragazze nel libro. Mentre una scala alluderà al desiderio di Giorgio di arrampicarsi oltre il muro della proprietà dei Finzi-Contini per stare con Micol, quella giovane ed elegante donna della quale si era innamorato al primo sguardo, quando entrambi erano ancora bambini. Di fronte alla scala, un muro di vetro riporterà diversi estratti dalle pagine in cui Bassani descrive il giardino, in tutte le lingue in cui il suo romanzo è stato tradotto”.
Accanto al modello e a diversi materiali dell’installazione pensata da Karavan per Corso Ercole I d’Este, la mostra al MEIS include il manoscritto originale de Il Giardino dei Finzi-Contini (per gentile concessione del Comune di Ferrara) e un percorso tra alcuni degli oltre cinquanta lavori site specific firmati dallo scultore israeliano in giro per il mondo: il memoriale sui Sinti e i Rom a Berlino, la camminata sui diritti umani a Norimberga, l’omaggio a Walter Benjamin a Portbou e il monumento al deserto nel Negev.
“Sono felice e onorato di presentare Il Giardino che non c’è, insieme ad altre mie opere, al MEIS” – conclude l’ottantottenne Karavan –. Trovo molto adatto illustrare il mio progetto proprio qui, nell’edificio in cui Bassani fu detenuto sotto il regime fascista. Sento quest’opera come un’autentica necessità che viene dal profondo di me stesso e non vedo l’ora di vederla realizzata a Ferrara.”
La mostra è patrocinata dalla Regione Emilia-Romagna e dal Comune di Ferrara, con il sostegno di BASSANI 1916-2016 – Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Giorgio Bassani, Coop Alleanza 3.0, Ferrara Arte, FER e Italia Nostra – Sezione di Ferrara. Si ringrazia il Centro Studi Bassaniani e la Fondazione Giorgio Bassani.